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La tassazione dei redditi da lavoro in caso di smart working

Gianluca De Martino, dottore commercialista e revisore contabile • ott 13, 2023

Commento alla Circolare 25/E/2023 dell'Agenzia delle Entrate

L'articolo 2, comma 2, Tuir afferma il principio secondo il quale si considerano residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d'imposta, vale a dire 183 giorni in un anno, o 184 giorni in caso di anno bisestile:

  • sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente;
  • hanno nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio;
  • hanno nel territorio dello Stato italiano la propria residenza.

Tali condizioni sono tra loro alternative, con la conseguenza che anche la sussistenza di una sola delle stesse è sufficiente a radicare la residenza di una persona nel territorio dello Stato italiano. L'accertamento dei presupposti per stabilire la residenza, diversi dal dato formale dell'iscrizione anagrafica, presuppone un riscontro fattuale da eseguirsi caso per caso, al fine di una concreta ponderazione degli elementi che consentono di verificare il luogo di domicilio o di residenza come definiti in base alla normativa civilistica. Per espressa indicazione normativa, la nozione di residenza fiscale deve partire dalla disciplina di cui all'articolo 43 c.c., il quale definisce il domicilio come il luogo in cui la persona ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi e fa coincidere la dimora abituale con il luogo di residenza. In sostanza, da un lato per configurare la residenza non è necessaria la continuità o definitività della dimora abituale, con la conseguenza che periodi anche prolungati di assenza non ne escludono il radicamento in Italia; dall’altro per definire il domicilio occorre, invece, tenere conto anche dei rapporti di natura non patrimoniale, come quelli personali e affettivi, al fine di considerare localizzato in Italia il centro degli affari e degli interessi. Pertanto, può essere considerato domicilio: la sede principale degli affari ed interessi economici nonché delle relazioni personali, come desumibile da elementi presuntivi; il luogo in cui la persona intrattiene sia i rapporti personali che quelli economici; il luogo in cui il lavoratore conservi l'abitazione, vi ritorni quando possibile e mostri l'intenzione di mantenervi il centro delle proprie relazioni familiari e sociali, anche se la prestazione lavorativa venga svolta con continuità in altro luogo.

Inoltre, al fine di contrastare il fenomeno della frequente migrazione fittizia verso Paesi a fiscalità privilegiata, in base ad una presunzione relativa di residenza fiscale, salvo prova contraria, si considerano residenti in Italia le persone cancellate dall'anagrafe della popolazione residente in Italia e trasferite in Stati o territori a regime fiscale privilegiato individuati nel Dm 4 maggio 1999 e successivi aggiornamenti e integrazioni.

Le persone residenti in Italia devono ivi sottoporre ad imposizione tutti i loro redditi, ovunque prodotti (cd. worldwide principle). I non residenti, invece, saranno tassati in Italia solo in base ai redditi ivi prodotti.

Visto lo sviluppo del lavoro agile (cd. smart working), l'Agenzia delle Entrate con la Circolare 25/E/2023 ha voluto fornire importanti indicazioni operative sul concetto di residenza e luogo di lavoro relazionato a tale tipologia di svolgimento della prestazione lavorativa. Ricordando la validità dei principi sopra riportati in virtù dell'applicazione dell'articolo 2 del TUIR, l'Agenzia delle Entrate affronta la problematica fornendo chiarimenti a esempi concreti.

Esempio n. 1

Caso

Cittadino straniero, non iscritto nelle anagrafi della popolazione residente, che lavora dall'Italia in smart working per un datore di lavoro estero, che permane per la maggior parte dell'anno solare presso un'abitazione ubicata nel nostro Stato unitamente al coniuge e ai figli.

Soluzione

In tale circostanza, sebbene non risulti soddisfatto il requisito formale di iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente, non si può non considerare che per la maggior parte del periodo d'imposta il cittadino estero mantiene stabilmente nel territorio dello Stato la sede principale dei suoi rapporti personali e affettivi (familiari) e la sua dimora abituale. Pertanto, il soggetto sarà considerato fiscalmente residente in Italia.

Esempio n. 2

Caso

Cittadina italiana che si è trasferita all'estero, dove svolge un'attività lavorativa in smart working, e ha mantenuto l'iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in Italia per la maggior parte del periodo d'imposta.

Soluzione

Tale contribuente, anche qualora avesse trasferito all'estero il suo domicilio e la sua dimora abituale, continuerà a qualificarsi come residente in Italia in ragione del requisito anagrafico, per cui dovrà sottoporre a tassazione tutti i suoi redditi nello Stato italiano, salvo il disposto della normativa convenzionale qualora applicabile.

Esempio n. 3

Caso

Cittadino italiano iscritto all'AIRE per la maggior parte del periodo d'imposta, che abbia sottoscritto un contratto di lavoro con un datore estero nel quale sia indicata come sede ordinaria di lavoro il Paese risultante dall'iscrizione all'AIRE (o altro Stato estero) ma che mantiene in Italia la sua dimora abituale ivi prestando la prestazione lavorativa da remoto.

Soluzione

Tale contribuente dovrà essere considerato fiscalmente residente in Italia.

Un’altra fattispecie, invece, è stata esaminata dall’Agenzia con la risposta a interpello n. 626/2021, in cui l’Ufficio ha chiarito che non si considera assoggettabile ad imposizione il soggetto non residente in Italia che dal suo Paese di residenza rende le prestazioni per un datore di lavoro italiano. In tal caso, il lavoratore continua a mantenere la residenza all'estero a prescindere dalla sede in Italia del datore di lavoro.

In alcune di queste fattispecie esaminate, l’Agenzia dopo aver fornito una prima soluzione sulla base del dettato normativo nazionale, conclude con riserva facendo salvo il disposto della normativa convenzionale qualora applicabile. Ciò in quanto, in linea generale la normativa tributaria interna dev'essere coordinata con le disposizioni contenute nelle convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall'Italia con i singoli Stati esteri, le quali hanno prevalenza sulla disposizione italiana.

Riguardo il concetto di residenza la disposizione di riferimento è l'articolo 4 del Modello di Convenzione OCSE contro le doppie imposizioni, sostanzialmente mutuata dai trattati internazionali conclusi dall'Italia. In particolare, il paragrafo 1 di detta disposizione stabilisce che l'espressione “residente in uno Stato contraente” designa ogni persona che, in virtù della legislazione di detto Stato, è ivi assoggettata ad imposta a motivo del suo domicilio, residenza, sede di direzione o di ogni altro criterio di natura analoga. Tale espressione non comprende le persone che sono assoggettate ad imposta in questo Stato soltanto per il reddito che esse ricavano da fonti situate in detto Stato. Ove le normative domestiche degli Stati contraenti entrino in conflitto, qualificando entrambe la persona come residente, il paragrafo 2 stabilisce che la fattispecie debba essere risolta con l'attribuzione della residenza ad uno solo dei due Paesi, mediante l'applicazione, secondo un criterio gerarchico, di specifiche regole (cd. tie breaker rules).

Le predette regole convenzionali fanno prevalere il criterio dell'abitazione permanente cui seguono, in via subordinata, il centro degli interessi vitali, il soggiorno abituale e la nazionalità del contribuente.

Inoltre l'articolo 15 del Modello OCSE si occupa dei redditi di lavoro dipendente, prevedendo la tassazione esclusiva nello Stato di residenza del contribuente, a meno che tale attività lavorativa non venga svolta nell'altro Stato contraente; in tale ultima ipotesi, vale a dire quando lo Stato della residenza è differente rispetto allo Stato della fonte, i predetti redditi devono essere assoggettati ad imposizione concorrente in entrambi i Paesi (par. 1).

Successivamente (par. 2) l'articolo 15 ripristina la tassazione esclusiva nello Stato di residenza anche quando l'attività lavorativa è svolta nello Stato della fonte, ove ricorrano congiuntamente tre condizioni:

  • il beneficiario dei redditi di lavoro dipendente soggiorna nello Stato della fonte per periodi che non oltrepassano in totale i 183 giorni nell'anno fiscale considerato;
  • le remunerazioni sono pagate da o a nome di un datore di lavoro che non è residente nello Stato della fonte;
  • l'onere delle remunerazioni non è sostenuto da una stabile organizzazione o da una base fissa che il datore di lavoro ha nello Stato della fonte.

In applicazione delle disposizioni convenzionali, quindi, un soggetto non residente che svolge la sua attività di lavoro dipendente in Italia è assoggettato a imposizione nel nostro Paese in relazione ai redditi imputabili all'attività prestata nel territorio dello Stato anche qualora questa venga svolta da remoto per un datore di lavoro estero.

In sostanza, il lavoro dipendente si considera svolto nel luogo in cui il lavoratore è fisicamente presente quando svolge la prestazione per cui è remunerato, indipendentemente dalla circostanza che la manifestazione di tale lavoro abbia effetti nell'altro Stato contraente.

La disposizione convenzionale è, inoltre, coerente con l'articolo 23, comma 1, lett. c), del TUIR che considera prodotti in Italia «i redditi di lavoro dipendente prestato nel territorio dello Stato».

Esempio n. 4

Caso

Cittadino italiano che prima della pandemia da Covid-19 sia stato assunto da un'impresa stabilita nello Stato X (con cui l'Italia ha in vigore una convenzione contro le doppie imposizioni), dove ha provveduto a trasferire la residenza. In occasione dell'emergenza sanitaria, il lavoratore ha iniziato a fruire del lavoro agile, che ha svolto in Italia per sua scelta o per l'impossibilità di rientrare nello Stato X a causa delle limitazioni alla circolazione dettate da ragioni sanitarie. Cessate le restrizioni alla circolazione, il lavoratore continua a svolgere comunque in Italia le sue prestazioni in smart working.

Soluzione

Prescindendo da qualunque valutazione sulla effettiva residenza del lavoratore, i redditi da quest'ultimo percepiti per il lavoro svolto da remoto nel territorio dello Stato, sia durante l'emergenza pandemica sia successivamente alla cessazione della crisi, sono imponibili in Italia. Non assume, quindi, rilevanza né la circostanza che, in assenza di accordi di smart working, il lavoratore si dovrebbe recare fisicamente presso i locali dell'impresa nello Stato X, né l'eventuale origine forzosa dello stabilimento a causa delle restrizioni alla circolazione.

Con risposta a interpello n. 626/2021, nel caso di un soggetto non residente percettore di redditi a fronte di un'attività di lavoro dipendente svolta in smart working dall'Italia, l'Agenzia ha ritenuto che ricorra una imposizione concorrente in Italia (Stato di prestazione dell'attività lavorativa) e in Lussemburgo (Stato di residenza), con riconoscimento del credito d'imposta da parte del Lussemburgo per le imposte versate in Italia.

Ancora, con risposta a interpello n. 50/2023 l'Amministrazione Finanziaria ha chiarito che il reddito da lavoro dipendente, erogato ad un soggetto fiscalmente residente in Italia da parte di un datore di lavoro irlandese, a fronte di una attività lavorativa svolta in parte dall'Italia, in modalità smart working, e in parte in Irlanda, presso la sede della società, dev'essere assoggettato a tassazione esclusiva in Italia (Stato di residenza), per la parte derivante dall'attività svolta in remoto dall’Italia, ed a tassazione concorrente, sia in Italia (Stato di residenza) che in Irlanda (Stato di svolgimento dell'attività), per la parte derivante dall'attività svolta in quest’ultimo Stato.


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