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Nuovo onere della prova nel processo tributario

Gianluca De Martino, dottore commercialista e revisore contabile • mar 01, 2023

Forte monito del Legislatore in merito all'onere della prova in capo all'Amministrazione Finanziaria

La legge 130/2022 ha introdotto il nuovo comma 5 – bis all’art. 7 del decreto legislativo 546/1992, quest’ultimo recante disposizioni in materia di processo tributario ed entrato in vigore con la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale il 16/09/2022. Il nuovo comma pone esplicitamente a carico dell’Amministrazione Finanziaria l’onere di provare in giudizio le violazioni contestate con l’atto divenuto poi oggetto di impugnazione da parte del contribuente, pena l’annullamento dello stesso con decisione del Giudice adito qualora detta prova manchi o risulti contraddittoria, o comunque sia insufficiente a dimostrare in modo circostanziato e puntuale le ragioni oggettive su cui si fonda la pretesa impositiva. Prima di tale modifica normativa, non esisteva nelle disposizioni che regolamentano il processo tributario una esplicita previsione in materia di ripartizione dell’onere della prova; di fronte a tale lacuna, sia la dottrina che la prassi professionale hanno cercato di porre rimedio mediante richiamo in giudizio dei criteri enunciati nell’art. 2697 del Codice Civile, secondo cui “chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento, mentre chi eccepisce l'inefficacia di tali fatti ovvero eccepisce che il diritto si è modificato o estinto deve provare i fatti su cui l'eccezione si fonda". Va detto anche che il processo tributario è un processo di impugnazione, nel quale il contribuente che propone ricorso avverso un avviso di accertamento è attore formale, mentre l’Amministrazione Finanziaria è attore sostanziale: è quindi quest’ultima che per far valere il proprio diritto di credito, contestato mediante la notifica dell’atto, deve provarne i fatti che ne costituiscono il fondamento.

La prima questione, quindi, su cui la dottrina si interroga è se la nuova disposizione vada semplicemente ad affermare un principio generale già esistente nel nostro ordinamento, ovvero se la modifica in commento abbia anche una portata innovativa. Secondo un orientamento consolidato della Corte di Cassazione, “in tema di accertamento delle imposte sui redditi, opera il principio secondo cui, se è vero che spetta all’amministrazione finanziaria – nel quadro dei generali principi che governano l’onere della prova – dimostrare l’esistenza dei fatti costitutivi della (maggiore) pretesa tributaria azionata, fornendo quindi la prova di elementi e circostanze a suo avviso rivelatori dell’esistenza di un maggiore imponibile, è altrettanto vero che il contribuente, il quale intenda contestare la capacità dimostrativa di quei fatti, oppure sostenere l’esistenza di circostanze modificative o estintive dei medesimi, deve a sua volta dimostrare gli elementi sui quali le sue eccezioni si fondano, sicché, a proposito del reddito d’impresa, spetta all’ufficio finanziario provare le componenti attive del maggior imponibile determinato e al contribuente – il quale intenda contestare tale determinazione sostenendo, ad esempio, l’esistenza di costi maggiori di quelli considerati – documentare che essi esistono e sono inerenti all’esercizio cui l’accertamento si riferisce (…). La corretta applicazione del principio concernente la distribuzione dell’onere della prova dettato dall’art. 2697 cod. civ. impone quindi al giudice di merito di accertare, in primo luogo, se la pretesa tributaria dedotta in giudizio derivi dall’attribuzione al contribuente di maggiori entrate oppure dal disconoscimento di costi o oneri deducibili esposti dallo stesso, perché solo l’esatta individuazione della parte tenuta per legge a dare la prova afferente consente al giudice di porre a carico di essa le conseguenze giuridiche derivanti dall’accertata inosservanza di detto onere” (Cassazione n. 11101/2022). Questa dicotomia, in verità già criticata in dottrina e messa in discussione anche da una parte della giurisprudenza di merito (si veda la recente sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Siracusa n. 3856/5/2022), è destinata comunque ad essere superata grazie alla novità introdotta dal nuovo comma 5 – bis in commento, in forza del quale incombe sempre sull’Amministrazione Finanziaria l’onere di provare i presupposti della pretesa, sia che in caso di accertamento di maggiori ricavi che in casi di disconoscimento di oneri. Già questa riflessione porterebbe a concludere come la nuova previsione non sia affatto priva di importanti effetti sostanziali.

Altro aspetto su cui si dibatte è, ferma l’applicazione della norma con decorrenza dal 16/09/2022 sia ai contenziosi incardinati successivamente a tale data che a quelli già in essere, se il principio di diritto possa essere applicato dal giudice in presenza di uno specifico richiamo nei motivi di ricorso sollevati dal contribuente, ovvero se il giudice possa procedere d’ufficio in tal senso. In realtà, sembra che entrambi gli aspetti siano parte della risposta: spetta anzitutto al contribuente circoscrivere il c.d. thema decidendum mediante la descrizione nell’atto introduttivo del ricorso dei motivi di impugnazione; spetta al Giudice invece verificare, nell’ambito del thema decidendum delimitato dal contribuente, che l’Amministrazione Finanziaria abbia pienamente e correttamente assolto l’onere della prova posto a suo carico. Così ad esempio la Corte di Giustizia Tributaria di primo grado di Reggio Emilia, sentenza 293/1/2022. Nell’atto impugnato dal contribuente, l’Agenzia delle Entrate contestava fatture per operazioni inesistenti dedotte ai fini della determinazione del reddito d’impresa imponibile, oltre che il pagamento in nero di parte delle retribuzioni dei dipendenti in quanto i dati dei cedolini emessi secondo la normativa giuslavorista non coincidevano con quelli rilevati tramite badge. Il Giudice nell’introdurre i motivi della decisione “non può fare a meno di richiamare il forte monito che Gli è giunto dal Legislatore, in punto di corretta applicazione dell'onere della prova”, e conclude con l’annullamento dell’atto impugnato in quanto “l’Agenzia non ha adempiuto all’onere della prova che le incombeva”. In particolare, il Giudice ha riscontrato che dalla documentazione prodotta dall’Agenzia non è certo agevole rilevare le incongruenze che giustificherebbe il rilievo dell'utilizzo di fatture per operazioni inesistenti; così come non è dato comprendere come i dati estrapolati dai badges contrastino con i dati giuslavoristici.

Il nuovo precetto normativo incontra però un limite in tutti i procedimenti accertativi in cui la normativa tributaria dispone una inversione legale dell’onere della prova, ponendo quest’ultimo a carico del contribuente. Si pensi ai c.d. accertamenti sintetici ex art 38 del D.P.R. 600/1973, ovvero agli accertamenti induttivi del reddito d’impresa ex art. 39 dello stesso decreto, qualora l’Ufficio abbia ricostruito le necessarie presunzioni dotate dei requisiti di gravità, precisione e concordanza comunque richiesti. Viceversa, la nuova disposizione dovrebbe porre un argine alle c.d. inversioni giurisprudenziali dell’onere della prova, vale dire a tutte quelle circostanze in cui l’onere è posto a carico del contribuente non già per espressa previsione normativa, bensì per orientamenti consolidati della giurisprudenza di legittimità. Si pensi, ad esempio, alla presunzione di distribuzione dei maggiori utili nelle società di capitale a ristretta base partecipativa. Di sicuro interesse sarà verificare le valutazioni dei giudici nell'applicazione delle nuove disposizioni ai procedimenti su cui sono chiamati a deliberare.

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