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L'onere della prova negli accertamenti in ambito di Tranfer Pricing

Gianluca De Martino, dottore commercialista e revisore contabile • mar 12, 2022

Commento all’Ordinanza di Corte di Cassazione n. 1374/2022

L’art. 110 comma 7 del TUIR è il primo riferimento normativo per quanto riguarda la disciplina tributaria dei prezzi di trasferimento infragruppo tra imprese residenti in Italia e relative consociate residenti all’estero. La norma è stata introdotta per evitare che, attraverso le transazioni infragruppo, le imprese possano trasferire all’estero base imponibile per la determinazione delle imposte dovute sul reddito prodotto; ciò, ad esempio, tramite corrispettivi inferiori in caso di cessioni verso consociate estere, ovvero di corrispettivi superiori in caso di acquisti, rispetto a quelli che sarebbero stati pattuiti tra imprese indipendenti che operano in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili.

Negli anni, tale principio di libera concorrenza è stato oggetto di diversi lavori svolti in seno all’OCSE, anche con la partecipazione ed il contributo delle Autorità di Governo, delle Amministrazioni Finanziarie e dei maggiori Enti di rappresentanza delle Imprese di tutti i Paesi aderenti, al fine di definire, tra l’altro, i migliori standard internazionali per una corretta valutazione in tal senso delle transazioni infragruppo, e descritti compiutamente nelle c.d. Linee Guida OCSE in materia di Transfer Pricing.

In questo contesto generale, sia normativo che di prassi, si inserisce la disputa oggetto della recente Ordinanza di Cassazione n. 1374/2022, sezione tributaria, la quale allineandosi ad un orientamento giurisprudenziale ormai consolidato, ribadisce che è anzitutto in capo all’Amministrazione Finanziaria l’onere di provare che le transazioni infragruppo non siano avvenute in aderenza al principio di libera concorrenza, indicando quale metodo di valutazione la stessa abbia utilizzato, tra quelli indicati nelle anzidette linee guida OCSE, per giungere a tale conclusione.

La fattispecie riguarda un gruppo di imprese con capo gruppo residente in Paese extra UE a fiscalità privilegiata, consociata europea con residenza in Olanda, quest’ultima controllante della consociata con residenza in Italia. La controllata italiana sostiene costi di approvvigionamento merci provenienti da Paesi extra UE a fiscalità privilegiata, tramite l’interposizione della controllante olandese.

Al termine delle verifiche, l’Amministrazione Finanziaria contesta, tra l’altro che i prezzi corrisposti dalla società italiana alla consociata olandese fossero finalizzati a trasferire alle imprese produttrici del gruppo multinazionale site in Paesi a fiscalità privilegiata la maggior parte dell’imponibile, tenuto anche conto che, secondo le ricostruzioni operate dallo stesso Ufficio, la consociata olandese altro non interverrebbe che come mera interposizione priva di giustificate ragioni economiche. Per tale motivo, sono recuperati a tassazione i maggiori ricavi determinati sulla base del valore normale. La società italiana impugna l’atto di accertamento emesso dall’Agenzia delle Entrate, ma soccombe sia nel primo che nel secondo grado di giudizio.

Nel ricorso in Cassazione, invece, tra i vari motivi di impugnazione della sentenza emessa dai Giudici della Regionale, il contribuente deduce ai sensi dell’art. 360 c. 1 n. 3 del c.p.c., violazione e falsa applicazione degli artt. 9 e 110 commi 2 e 7 del TUIR, dell’art. 11 bis del d. lgs. 446/97, nonché dell’art. 2697 del c.c., nella parte in cui ritiene violata la disciplina sui prezzi di trasferimento. In particolare, il ricorrente deduce come sia onere dell’Ufficio fornire la prova che il prezzo pattuito tra le società del gruppo per la compravendita dei beni non sia conforme al prezzo mediamente praticato in condizioni di libera concorrenza, e che che nessuno dei metodi indicati nelle Linee Guida OCSE sia stato applicato nel caso di specie, con conseguente violazione delle regole di distribuzione dell’onere della prova.

Il Giudice di legittimità ha ritenuto fondato tale motivo di impugnazione, riconoscendo come il Giudice di merito abbia erroneamente tratto spunto dall’antieconomicità dell’interposizione della consociata olandese per ipotizzare l’esistenza di un elemento di presunta elusione fiscale, al fine di trarre la presunzione che il Gruppo multinazionale non abbia ripartito i redditi conseguiti in Italia secondo valori di mercato, concentrandoli invece presso i Paesi di residenza dei produttori, soprattutto per il loro regime fiscale di favore. Sicché, nonostante nessun metodo sia stato utilizzato dall’Ufficio, le Commissioni di merito hanno ritenuto sufficiente ai fini dell’accertamento dei maggiori ricavi, il sintomo di una condotta patologica, induttiva della prova di trasferimento all’estero di reddito imponibile.

La Cassazione, invece, ricorda come sia ormai consolidato l’orientamento secondo cui il giudizio di normalità del prezzo, ed il relativo onere probatorio, sia a carico dell’Ufficio. Quest’ultimo, ricorrendo alle metodologie indicate nelle Linee Guida OCSE, deve dimostrare che a parità di condizioni le stesse transazioni avrebbero generato un maggior reddito imponibile per la società residente, qualora fossero state condotte tra soggetti indipendenti.

La Corte riconosce che tali principi sono stati disattesi nel giudizio di merito, quindi cassa la sentenza impugnata con rinvio al Giudice Regionale in diversa composizione.

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